Il mercato delle calze è in crisi? Da una parte abbiamo le statistiche della produzione italiana, secondo i produttori del distretto della calza il mercato è in crisi, dall’altra abbiamo le parole di Lu che si sta lentamente convertendo in una talebana, chi ha ragione? E’ proprio vero che le donne usano meno le calze e i collant?
Il periodo d’oro italiano
Proviamo a ragionare e a fare un po’ di chiarezza. A partire dagli anni cinquanta nei dintorni di Mantova (Castel Goffredo) nascevano come funghi aziende che producevano calze di nylon, erano un prodotto nuovo per l’epoca ed è nato un periodo nuovo per questo capo d’abbigliamento, negli anni sessanta venivano inventati i collant, contemporaneamente si diffondevano le minigonne e la combinazione era micidiale. La produzione in quel periodo, particolarmente in quel distretto, era notevolissima per qualità e quantità, si dice che una percentuale notevolissima (60-80%) di tutte le calze d’Europa o addirittura del mondo venisse prodotto in quella zona. Tutto è andato avanti per parecchi anni con una crescita continua fino agli anni ottanta e novanta e poi qualcosa è cominciato a cambiare.
Ma le statistiche sono un po’ come la bibbia: si possono leggere in mille modi e i numeri possono essere usati per dimostrare tutto e il contrario di tutto, proviamo a vedere cosa c’è di vero.
La delocalizzazione
Il distretto della calza di Castel Goffredo è in crisi e questo è un fatto, più della metà delle aziende che si trovavano lì ha chiuso, vero. Con il massimo rispetto per le persone che hanno perso il lavoro, in moltissimi casi le aziende hanno delocalizzato e hanno iniziato a produrre all’estero, all’inizio nell’Europa dell’Est, in particolare in Polonia, più recentemente anche in Croazia e Slovenia.
All’inizio gli imprenditori italiani andavano all’estero, portavano tecnologia, know-how e macchinari e iniziavano a produrre dove il costo del lavoro era più basso, le tasse più ragionevoli e la burocrazia meno nemica. Dopo qualche anno sono cominciati i problemi per gli italiani, anche gli stranieri hanno imparato a produrre calze di buona qualità e hanno cominciato a creare una vera concorrenza. All’inizio dalla Polonia, dalla Turchia e dalla Cina arrivano prodotti a buon mercato, più recentemente alcuni marchi stranieri si sono imposti anche per la qualità dei prodotti e questo ha messo veramente in crisi alcuni produttori italiani.
Questo significa che le calze sono in crisi?
A nostro modesto parere tutto quanto detto fino ad ora dimostra solo che i produttori italiani di calze sono in crisi, niente altro. In teoria la produzione italiana potrebbe rivolgersi ad un mercato molto più ampio, dopo gli anni ’90 è diventato molto più facile esportare, anche per un’azienda di piccole dimensioni. Inoltre il tenore di vita è salito di livello in moltissimi paesi per cui il numero di donne che potrebbe considerare i collant un capo di abbigliamento quotidiano e non un lusso è aumentato enormemente.
E allora?
E allora è vero che ci sono grandi margini di miglioramento.
E’ vero che sono cambiate le mode e i costumi e che per un certo periodo le calze non sono più state considerate “obbligatorie”. Questo non sarebbe un male in senso assoluto ma le gambe nude sono state spesso accompagnate da una notevole trascuratezza nel vestirsi delle donne, questo sì era un problema.
Il clima sta cambiato, la terra si scalda e le donne non indossano più i collant sotto i pantaloni
Altra affermazione esatta ma, sempre detto con il massimo rispetto per i produttori di collant, mi pare che i problemi più grandi sino gli altri due ovvero che il clima della terra sembra stia andando fuori controllo e che le donne indossano troppo spesso i pantaloni.
Le calze sono un prodotto poco ecologico?
Purtroppo questo è vero e qui ci sono margini di miglioramento. Per fortuna la sensibilità del mercato in senso ambientale sta aumentando, tocca ora ai chimici creare filati più eco-sostenibili e ai produttori riuscire a produrre in modo più ecologico. Da questo punto vista ci sono effettivamente delle buone notizie e ne parleremo nei prossimi mesi.